In base all’art. 544-bis c.p. “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”.
L’originaria pena ‘da tre a diciotto mesi’ è stata inasprita nel 2010 con Legge n.201 di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo nel 1987.
È proprio all’art. 1 di detta Convenzione che viene menzionata la nozione di “animali da compagnia” secondo la quale rientrano nella categoria quegli esseri tenuti o destinati ad essere tenuti dall’uomo presso il proprio alloggio domestico, per proprio diletto e compagnia.
Tornando al delitto in disamina, è d’obbligo far presente che il bene giuridico protetto dala norma è (ancora) il sentimento di pietà e compassione per la sofferenza degli animali.
Quanto al soggetto cui la disciplina si rivolge il legislatore ha inteso chiaramente farvi rientrare ‘chiunque’ e quindi anche il proprietario dell’animale.
In merito alla condotta incriminata, inoltre, si ritiene pacifico che possa essere integrata attraverso ogni comportamento capace di cagionare la morte dell’animale, anche di tipo omissivo (Cfr. Cass. pen., Sez. III, 9 giugno 2011, n.29543).
Sono poi previsti dalla norma i due requisiti –alternativi- della crudeltà o della mancanza di necessità rappresentanti la c.d. concezione antropocentrica della tutela degli animali (al cui relativo articolo si rimanda) .
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