L’esigenza di introdurre la possibilità di proporre una specifica class action nei confronti della Pubblica Amministrazione ha condotto alla c.d. legge Brunetta (legge delega n. 15 del 4 marzo 2009).
Il fine da raggiungere era quello di consentire -ad ogni interessato- di agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni (nonché dei concessionari di servizi pubblici) qualora derivasse una lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti/consumatori dalla violazione di standard qualitativi ed economici, ovvero dalla violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei servizi o dall’omesso esercizio di poteri di vigilanza, di controllo o sanzionatori, o ancora, dalla violazione dei termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali.
Erano in tal senso comunque fatte salve le competenze degli organismi aventi funzioni di regolazione e controllo già istituiti con legge dello Stato e preposti ai relativi settori.
Con la L. n.15/2009 è stato così introdotto il nuovo istituto dell’azione collettiva, azionabile contro le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, con la sua relativa disciplina processuale.
La previsione volge in sostanza verso una visione moderna di Pubblica Amministrazione come amministrazione di risultato quale applicazione sostanziale del principio di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione.
Trattasi di un istituto che va poi ad affiancarsi (restando comunque diverso) dalla c.d. class action ordinaria, quale azione collettiva di cui all’art. 140-bis del Codice del consumo (D.Lgs n. 206/2005) in vigore dal 10 gennaio 2010.
In base al decreto legislativo n.198 del 20 dicembre 2009, di attuazione della legge delega di cui alla citata L. 15/2009, l’oggetto del ricorso è da ravvisarsi nella lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti mentre l’oggetto del giudizio si lega alla previa definizione di standard di qualità organizzativa, perseguita tramite altri provvedimenti di attuazione del disegno complessivo di riforma.
Va in ogni caso evidenziato che, con riferimento ai ritardi amministrativi, l’istituto in oggetto si affianca al più generale rimedio individuale di cui all’art. 2, L. 241/1990, praticabile dal singolo soggetto leso dalla violazione dei termini procedimentali, cui si aggiunge la tutela risarcitoria riconosciuta dall’art. 2-bis della medesima legge, nonché dagli artt. 30, comma 2 ss., e 117, comma 6, del Codice del processo amministrativo.
La legittimazione attiva ad agire in giudizio compete ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti (art. 1, comma 1) ed alle associazioni e comitati a tutela degli interessi dei propri associati (art. 1, comma 4). Per quanto riguarda la legittimazione passiva, devono escludersi dai destinatari dell’azione gli organi giurisdizionali, le assemblee legislative, gli organi costituzionali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le autorità amministrative indipendenti.
Va segnalata, in merito, la dubbia coerenza e legittimità costituzionale dell’esclusione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, essendo ipotizzabile l’addebito, nei suoi confronti, della violazione dei termini o della mancata emanazione di atti amministrativi generali, al di là della funzione di monitoraggio alla stessa attribuita dall’articolo 6.
La giurisdizione deve attribuirsi -in via esclusiva- al giudice amministrativo, trattandosi di materie inerenti ai servizi pubblici caratterizzate dalla simultanea presenza sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Al successivo articolo 2 del D.Lgs n.198/2009 viene ‘modellata’ la sussidiarietà dell’azione, non potendo essa trovare definizione qualora venga, anche in un momento successivo, proposto un altro rimedio, sia giudiziale che amministrativo.
Anche tale scelta ha sollevato dubbi, essendo in tal modo ridotta la rilevanza del rimedio e la sua vicinanza con i principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui agli artt. 24, 103 e 113 Cost.
All’art. 1, comma sesto, si esclude poi –espressamente- che con il ricorso possa essere richiesta al giudice una sentenza di condanna al risarcimento del danno, ponendo così un ulteriore limite alla effettiva applicabilità della tutela.
Autorevole dottrina non ha mancato di rilevare che tale regime di privilegio, riconosciuto alle pubbliche amministrazioni, rappresenta una distonia rispetto alla tendenza dell’ordinamento (avviatasi dalla pronuncia n.500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione) mirata ad una piena responsabilizzazione dei soggetti pubblici. Senza poi tenere conto di quanto attuato dagli ordinamenti europei maggiormente progrediti e rivolti ad una ‘moralizzazione’ delle condotte degli agenti pubblici.
In conclusione, lo strumento della class action contro la P.A. –ideato dal Ministro Brunetta- appare certamente come un provvedimento epocale (Cfr. Cons. Stato, Atti norm., 9 giugno 2009, n. 1943), tuttavia, non manca di sollevare critiche e perplessità .
Dott.ssa Eleonora Di Lullo