Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 22 marzo 2016, n. 1164
“….. L’art. 3, comma 5, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) prevede che «gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti», aggiungendosi che occorre, tra l’altro, assicurare che «la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni» sia libera e che le informazioni sia trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, né ingannevoli o denigratorie.
Nel caso in esame l’attività oggetto di contestazione da parte del CNF si risolve in una modalità di pubblicità protetta dalla norma riportata e non in contrasto con i limiti da essa posta. Il sistema «Amica Card», come correttamente rilevato dal primo giudice, è finalizzato a mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, un spazio on line nel quale questi può presentare l’attività professionale svolta e proporre uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi. La circostanza che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti ovvero, come ritenuto dall’appellante, solo agli affiliati al circuito, non è di per sé, in assenza della dimostrazione di elementi qualificanti incompatibili con la deontologia e con il decoro della professione, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiva in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazione dello sconto e dell’attività svolta. Né risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermediazione dai connotati diversi da quelli sopra esposti….”
Si è pertanto in presenza, come conclude il Consiglio di Stato, “di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza.”
Con la decisione in oggetto -succintamente riportata- Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha definitivamente rigettato le pretese del Consiglio Nazionale Forense ed accolto l’appello proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.