Cassazione penale – Sezione quarta – sentenza del 9 marzo 2017, n. 11428
La Suprema Corte era stata chiamata a pronunciarsi sul valore probatorio dell’esistenza e della durata del rapporto stabile e continuativo nel tempo documentato solamente mediante lo stato di famiglia (che attestava la convivenza) ed il contenuto dei messaggi sms e Facebook che testimoniavano il legame affettivo intercorrente tra zii e nipote.
Il ricorso agli ermellini veniva proposto avverso la sentenza della Corte di appello che, nel confermare la condanna, già inflitta con il primo grado del giudizio, nei confronti di una donna che aveva causato la morte di un giovane ragazzo, escludeva comunque che alla stessa potesse essere addebitato il risarcimento del danno morale subito dagli zii della vittima.
Rigettando tuttavia la tesi dei ricorrenti, nella recentissima pronuncia la Corte ha affermato che
“la risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale richiede, oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze tali da far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale, in particolare richiedendosi per quei soggetti, quali i nonni e gli zii, che non hanno un vero e proprio diritto ad essere assistiti anche moralmente dai nipoti, oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto (ad esempio, ma non necessariamente, la convivenza) che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale”.
Si è pertanto chiarito che “essere amici su Facebook” non è di per sé un dato sufficiente ad assolvere l’onere probatorio richiesto ai fini del risarcimento del danno morale.