Cassazione civile a Sezioni Unite n. 3727 del 25.02.2016
A seguito della pubblicazione dell’articolo intitolato “Ora il dovere della chiarezza” sul giornale **** che traeva spunto dall’avviso di conclusione delle indagini effettuate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano relativamente alla presunta frode fiscale nella compravendita di diritti televisivi, commessa da parte dei vertici di ****, si aprì un contenzioso volto all’accertamento ed alla dichiarazione di condanna -nei confronti del Gruppo Editoriale, della società editrice del giornale, del direttore responsabile dello stesso e del giornalista autore dell’articolo- al risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della diffamatoria ed illecita pubblicazione di informazioni in violazione sia dell’art. 684 c.p., che delle norme a tutela della privacy.
Giunta la questione innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, quest’ultima si è trovata a doversi pronunciare su diversi aspetti ovvero: “a) se la previsione della norma incriminatrice, che blinda, nei sensi innanzi precisati, la divulgabilità degli atti del processo penale, integri o meno un reato plurioffensivo, in quanto preordinato a garanzia non solo dell’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria, ma anche delle posizioni delle parti e, segnatamente, della reputazione delle stesse; b) se sia scrutinabile l’entità della riproduzione, sì da potersi, se del caso, accedere a un giudizio di insignificanza del dato riportato e quindi di sostanziale inoffensività della condotta ascritta all’autore della pubblicazione.”
Ebbene, dopo un’attenta ricostruzione della normativa sostanziale e processuale la Corte ha riconosciuto la mancanza, nel nostro ordinamento, di una completa coincidenza tra regime di segretezza e regime di divulgazione, esistendo un doppio filtro alla pubblicazione degli atti, ovvero, “un divieto assoluto di pubblicazione, “anche parziale o per riassunto… degli atti coperti dal segreto istruttorio o anche solo del loro contenuto”, operante, ex art. 329 c.p.p., fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari; e un divieto relativo, limitato ai soli elementi testuali, vigente, con il rimodellamento operato dalla Consulta, oltre siffatta barriera temporale, fino al termine dell’udienza preliminare (comma 2) e, se si procede a dibattimento, fino alla pronuncia in grado di appello (comma 3)”.
Si deve pertanto stabilire se l’art. 684 c.p. sia volto anche alla tutela delle parti che restano coinvolte nel processo oppure solamente all’interesse dello Stato al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria. Ed è proprio sul tale dubbio carattere plurioffensivo della norma che si sono registrati nella giurisprudenza di legittimità due differenti orientamenti e che hanno ritenuto opportuno l’intervento delle Sezioni Unite.
Senonché, nonostante la prevalente giurisprudenza civile (Cfr. la recente Cass., 31 ottobre 2015, n. 838), penale (da ultimo Cass., 12 aprile 2013, n. 17051) e della Corte Costituzionale (n. 457 del 1987 e n. 18 del 1966) volta al riconoscimento di una natura plurioffensiva del reato “in quanto diretto a tutelare, nella fase istruttoria, la dignità e la reputazione di tutti coloro che, sotto differenti vesti, partecipano al processo, oltrechè a garantire l’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria” le Sezioni Unite hanno ritenuto preferibile l’orientamento opposto che riconosce nella volontà del legislatore il riconoscimento del diritto di informare e di essere informati (Corte cost. n. 112 del 1993; n. 153 del 1987; art. 10, paragrafo 2 CEDU; Cass. civ. 10 ottobre 2014, n. 21404; Cass. civ. 4 settembre 2012, n. 14822).
Ne deriva, conclude la Corte, “che nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata in dipendenza della sola violazione della norma incriminatrice in discorso, salvo che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell’ordinamento”.
Chiarito ciò si impone comunque l’analisi della entità della riproduzione. In tal senso viene richiamato il principio di diritto espresso nella pronuncia n.838/2015 in base al quale “fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto di atti non coperti dal segreto, non può derogarsi al divieto di pubblicazione di tali atti (mediante riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi), nei casi previsti dall’art. 114 c.p.p., in dipendenza del dato quantitativo della limitatezza della riproduzione, trattandosi di deroga non prevista dalla norma e non compatibile con le esigenze sottese alla disciplina relativa alla pubblicazione di atti di un procedimento penale“.
Conclusioni queste cui non è giunto un opposto orientamento giurisprudenziale (ci si riferisce alla Cass. pen. 24 ottobre 2013, n. 43479, che ha ritenuto insussistente la contravvenzione di cui all’art. 684 c.p., con riferimento a un’imputazione formulata a seguito della pubblicazione di una brevissima frase, riportata tra virgolette, dell’interrogatorio dell’indagato) ispirato al criterio della necessaria offensività secondo il quale rientrano nell’area del penalmente irrilevante quelle condotte che –con riguardo alla condotta della ratio della norma incriminatrice interessata- appaiono prive di un’idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati.
A ciò va aggiunto che al medesimo criterio si è ispirata la causa di non punibilità da ultimo introdotta con l’art. 131-bis c.p. nel 2015.
Pertanto, anche in questo caso le Sezioni Unite pervengono alla conclusione volta al riconoscimento di un necessario preventivo apprezzamento dell’entità della riproduzione ai fini del giudizio sulla esistenza del reato di cui all’art. 684 c.p.
A conclusione delle argomentazioni sopra riportate la Cassazione a S.U. ha enunciato i seguenti principi di diritto:
“a) la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all’art. 684 c.p., integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio;
b) nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta nel processo perciò solo che sia stata violata la norma incriminatrice in discorso;
c) la portata della violazione, sotto il profilo della limitatezza e della marginalità della riproduzione testuale di un atto processuale, va apprezzata dal giudice di merito, in applicazione del principio della necessaria offensività della concreta condotta ascritta all’autore, nonché, sul piano civilistico, della irrisarcibilità del danno patrimoniale di lieve entità; la relativa valutazione è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata”.