Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna nei confronti di ******, autore di uno scritto su un blog on line dal titolo “(OMISSIS), corsa (senza vergogna) alla direzione artistica“, per il reato di diffamazione in danno di un sovrintendente di un teatro, definito in questo scritto anche come “psicopatico” e “drogato”.
Quel che più rileva in punto di diritto è il fatto che la Corte di Cassazione abbia ritenuto corretto l’operato dei giudici del merito i quali avevano attribuito all’imputato la paternità dello scritto sulla base, da un lato, del movente rappresentato dalla conflittualità tra il sovrintendente ed il diffamatore, già orchestrante, in ordine alla copertura da parte di quest’ultimo del posto di segretario artistico del teatro, dall’altro della provenienza di esso dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica dell’abitazione dell’imputato.
Inoltre, non veniva accolta la tesi difensiva, dell’allora imputato, che mirava alla configurazione del c.d. “furto d’identità” ovvero che un terzo avesse sfruttato la rete wireless del prevenuto per postare lo scritto diffamatorio.
La Suprema Corte di Cassazione nel motivare l’inammissibilità e conseguente rigetto del corso – con contestuale condanna al pagamento delle spese di lite e di una sanzione in favore della cassa delle ammende – ha ritenuto la riconducibilità dell’indirizzo IP all’imputato argomento sufficiente e idoneo “giacché di per se’ tranchant” ai fini dell’individuazione della provenienza dello scritto postato sul blog, che “non può essere scalfita dalla possibilità, tanto ipotetica ed inverosimile da essere addirittura irreale, di cui la corte ha già fatto motivatamente giustizia, del c.d. furto di identità da parte di un terzo del tutto imprecisato che si sarebbe appostato nei pressi di casa dell’imputato, nel primo pomeriggio di un giorno di luglio, per sfruttarne la rete wireless in un orario in cui presumibilmente, secondo il ricorso, nessuno nell’abitazione stava operando al computer”.
Pertanto e conclusivamente la predetta sentenza, in uno con le norme codicistiche, sia da monito a tenere comportamenti rispettosi della sfera morale altrui per tutti coloro che ritengono, erroneamente, lo spazio virtuale informatico luogo legibus solutum e zona franca dall’applicazione del diritto.