La terza sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 36350 del 9 settembre 2015, ha definitivamente chiuso una delle vicende giudiziarie che ha maggiormente appassionato ed infiammato – forse anche troppo – l’opinione pubblica.
Semplificando, le vicende alla base del c.d. caso “Calciopoli” hanno riguardato alcuni dirigenti di blasonati club nonché arbitri federali accusati di voler alterare il campionato di calcio di serie A attraverso la manipolazione dei sorteggi dei direttori di gara da assegnare alle varie partite.
Come da titolo, aldilà delle logiche del tifoso, la sentenza in commento ha visto la Suprema Corte di Cassazione impegnata nell’esame di una fattispecie – fino ad allora – di scarsa applicazione, ovvero la struttura del reato di frode sportiva, nonché gli aspetti relativi al risarcimento del danno dei soggetti lesi dal suddetto reato.
Il reato di frode sportiva è stato per la prima volta disciplinato nel nostro ordinamento dall’art. 1 della Legge n° 401 del 1989, punendo “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva (…) al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo (…)”.
La Cassazione ha delineato subito i tratti essenziali del delitto in oggetto, annoverandolo tra i reati di pericolo astratto, a consumazione anticipata, a forma libera e caratterizzandolo con il dolo specifico.
Dalla complessa sentenza è possibile estrapolare i seguenti punti essenziali:
- la lesione del bene giuridico protetto –corretto ed indipendente svolgimento dell’attività sportiva – non necessita di un accertamento caso per caso ma è implicito e presunto nella stessa condotta;
- essendo reato a forma libera, non è possibile tipizzare preventivamente i comportamenti e pertanto sarà solamente il giudice a determinare, nel singolo caso se i comportamenti presi in considerazione possano costituire “atti fraudolenti” tesi al turbamento del normale esito dell’attività agonistica;
- è sufficiente che i comportamenti delittuosi siano potenzialmente idonei e diretti all’alterazione delle competizioni sportive e, perciò, è irrilevante il fatto che non si addivenga all’effettiva manipolazione della gara;
- l’autore del reato può essere chiunque pertanto anche soggetti totalmente avulsi dal “mondo dello sport” e ciò anche al fine di contrastare l’ulteriore piaga dei risultati sportivi combinati, o comunque alterati, ai fini di un illecito ritorno economico sotto forma di apparenti lecite scommesse (v. calcioscommesse);
- l’autore – o nel caso di “Calciopoli”, autori- devono prefiggersi sempre la finalità del raggiungimento dell’alterazione del risultato sportivo (dolo specifico)
Altro punto nevralgico della sentenza è quello dell’esame del meccanismo di designazione degli arbitri.
La Corte, aderendo anche ad alcune tesi difensive, ha precisato che è compito del giudice del merito capire “se l’intesa che, al riguardo, venga a formarsi tra l’estraneo (ancorchè tesserato) e il soggetto legittimato alla formazione delle griglie arbitrali possa ritenersi fraudolenta, occorre verificare se essa si formi solo per un comune, condiviso e lecito obbiettivo di tutelare, per esempio, che una non adeguata ponderazione selettiva possa portare alla nomina di arbitri non all’altezza dei compiti; ovvero se si tratti di operazione volte a perseguire finalità opposte (stavolta illecite), nel qual caso la formazione delle griglie diventa un tassello di una più ampia condotta fraudolenta”.
Quanto, infine, alla tutela dei soggetti danneggiati dalla frode sportiva, la Cassazione ha precisato che essi non devono identificarsi solamente negli enti istituzionali (Coni, Figc, Cio etc…) ma anche in quelle società sportive che hanno subìto “danni di gravissima entità non solo all’immagine ma anche alle proprie casse in quanto costrette a retrocedere per un effetto indotto determinato dall’alterazione di numerose partite del campionato che hanno alla fine creato una classifica del tutto fittizia”.
Accertato, pertanto, il diritto al risarcimento la Corte rinviava le parti alla sede civile per l’esatta quantificazione e qualificazione dei danni
I soggetti danneggiati non vanno identificati, di conseguenza, solamente negli enti istituzionali ma anche nelle società pregiudicate dai reati sportivi commessi in loro danno.
In sintesi, la sentenza in oggetto sarà destinata a “fare scuola” nell’ambito del c.d. diritto sportivo, sia esso penale che civile, e denota una volontà del giudice nomofilattico di allargare quanto più possibile – nei limiti del principio di legalità – le maglie del reato di frode sportiva e del consequenziale risarcimento del danno, al fine di combattere il dilagante e deprecabile fenomeno dell’alterazione delle competizioni sportive.
Avv. Guglielmo Pettograsso