La normativa sul patto di famiglia è stata introdotta in Italia nel 2006 (artt. 768-bis / 768-octies c.c.) quale risposta alle sollecitazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie volte ad assicurare la c.d. continuità generazionale.
Si è così maggiormente garantita la stabilità dell’impresa attraverso la previsione di un contratto –a titolo gratuito ed inter vivos– volto a consentire all’imprenditore di trasferire una parte o l’intera azienda, oppure al titolare di partecipazioni societarie, tutte o parte delle proprie quote, ad uno o più discendenti.
Ratio della disciplina è quella di avvicinarsi alle esigenze del continuo cambiamento dei traffici commerciali soddisfando, al contempo, le aspettative di quegli imprenditori interessati a programmare il passaggio generazionale dell’impresa permettendogli di scegliere, in piena libertà, quello che, tra i propri discendenti, abbia manifestato maggiori attitudini manageriali.
Si previene così anche l’insorgere di conflitti familiari che costituiscono una delle maggiori cause di mortalità delle imprese nonché un fattore di disgregazione dei patrimoni familiari.
In pratica, l’istituto permette di realizzare una successione anticipata in deroga al divieto dei patti successori.
Non a caso la scelta effettuata dall’imprenditore viene posta al riparo dalle azioni che altrimenti sarebbero state esperibili al momento della sua morte ovvero, dalla collazione e dalla riduzione (predisposte a tutela dei legittimari).
È doveroso comunque sottolineare che la stipulazione del patto di famiglia ‘deve’ essere accompagnata da un procedimento di valutazione di quanto assegnato e di quanto –eventualmente- trasferito in natura ai legittimari non assegnatari.
Relativamente alle modalità di tale suddetta valutazione si ritiene ammissibile qualsiasi scelta riconoscendosi utili l’arbitrato, le perizie, i prontuari e le relatio a tabelle.
Sul piano generale dell’economia, l’incremento della competitività e dello sviluppo, confermano l’evidente interesse pubblico all’istituto.
Sul piano strictu sensu privatistico, al contrario, il patto di famiglia è stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza come un fenomeno di difficile inquadramento giuridico. Secondo l’orientamento maggioritario non può ravvisarsi nell’operazione un intento liberale, essendo il disponente mosso da un interesse egoistico alla migliore prosecuzione dell’impresa.
Pertanto il patto di famiglia sarebbe preferibilmente inquadrabile come un contratto a causa propria ed autonoma, nonché tipico ed avente natura divisionale in quanto idoneo a consentire l’estromissione anticipata del bene (azienda) .
Dott.ssa Eleonora Di Lullo