Il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici è disciplinato dal D.P.R. n. 62/2013 e la sua normativa deriva dal progetto di riforma introdotto con la Legge anticorruzione n. 190/2012.
Come espressamente previsto dall’art. 54 T.U.P.I. (Testo Unico Pubblico Impiego) “il nuovo codice prende il posto di quello precedente, contenuto nel decreto del Ministro della Finanza Pubblica 28 novembre 2000” ed assume, altresì, forza contrattuale sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).
Da tale inquadramento normativo deriva che la violazione del codice comporta un inadempimento della prestazione lavorativa ed al contempo una responsabilità disciplinare.
A ciò si aggiunga che –sempre sulla base della c.d. Legge anticorruzione n. 190/2012- le singole amministrazioni dovranno adottare un codice di comportamento integrativo.
Il nuovo Codice si compone di 17 articoli ed in prima battuta (art. 3) enuncia i principi che disciplinano il rapporto di pubblico impiego e che sembrano, per lo più, effettuare una ricognizione dei principi costituzionali e della legge generale sul procedimento amministrativo.
Il profilo più innovativo rispetto al passato consiste nelle precisazioni e nei rafforzamenti introdotti nella disciplina dei ‘regali’ e dei ‘compensi’ che possono essere riconosciuti ai dipendenti pubblici. Si stabilisce infatti che il dipendente può ricevere regali solamente “d’uso, di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali” .
La sogli fissata, affinché possa parlarsi di ‘modico valore’, è di 150,00 euro (anche sotto forma di sconto) ma tale valore può essere anche abbassato dal codice integrativo (più precisamente, quest’ultimo può anche prevedere degli specifici divieti per tutti gli appartenenti alla singola amministrazione o solo per particolari sue figure professionali).
Altro divieto consiste nel non poter ricevere “incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all’ufficio di appartenenza”. Disposizione che evidentemente integra quanto dettato dalla legge n.190/2012 (c.d. anticorruzione) secondo la quale i dipendenti che vanno in quiescenza non possono –nei tre anni successivi- ricevere incarichi ovvero essere assunti da privati nei cui confronti abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali.
Rientra poi, tra i doveri dei dipendenti pubblici la comunicazione inerente “la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio”. Obbligo da cui, si noti, sono sottratte le adesioni ai partiti ed alle organizzazioni sindacali.
Particolare attenzione merita inoltre l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi che può verificarsi nell’eventualità di rapporti da tenersi con parenti, affini entro il secondo grado, con il coniuge, il convivente o persone con cui si abbia una ‘frequentazione abituale’ ovvero condizioni di inimicizia, di debito ma, più genericamente, in tutti quei casi in cui vi siano “gravi ragioni di convenienza” .
Altra innovazione rispetto al passato consiste nell’obbligo di tracciabilità dei processi-decisioni di cui all’art. 9, consentendosi, in tal modo, la replicabilità degli stessi in ogni momento.
Infine, è utile evidenziare che delle disposizioni ad hoc sono state dettate anche per i dirigenti (siano essi a tempo determinato o meno) nonché per i titolari di posizioni organizzative negli enti sprovvisti di dirigenti. All’uopo è sicuramente più opportuno riportare il dettato normativo che ricomprende, tra le altre, le seguenti previsioni:
– 3. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica
all’amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi
finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la
funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro
il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività
politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti
frequenti con l’ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti
nelle decisioni o nelle attività inerenti all’ufficio. Il dirigente
fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le
dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all’imposta sui redditi
delle persone fisiche previste dalla legge.
– 5. Il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili,
il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto,
favorendo l’instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i
collaboratori, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle
informazioni, alla formazione e all’aggiornamento del personale,
all’inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di
età e di condizioni personali.
– 6. Il dirigente assegna l’istruttoria delle pratiche sulla base di
un’equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle
capacità, delle attitudini e della professionalità del personale a
sua disposizione. Il dirigente affida gli incarichi aggiuntivi in
base alla professionalità e, per quanto possibile, secondo criteri
di rotazione.
Concludendo, deve evidenziarsi come la violazione degli obblighi (in buona parte sopra analizzati) può comportare in capo al dipendente/dirigente delle responsabilità di natura penale, amministrativa, civile, contabile e disciplinare a seconda della gravità del fatto che lo vede coinvolto.