La giurisprudenza definisce come tale quella società che, ancorché non esistente nei rapporti tra i presunti soci, deve comunque considerarsi esistente nel momento in cui due o più persone operino in modo tale da ingenerare nei terzi una ragionevole opinione che essi agiscono come soci, determinando così quell’incolpevole affidamento dell’esistenza effettiva della società.
Nello specifico può accadere che il giudice si convinca del fatto che dietro un imprenditore vi sia in realtà una società ed in sede fallimentare invoca il c.d. principio dell’apparenza.
Accade così che la società apparente viene assoggettata a procedura fallimentare al pari di una società di fatto realmente esistente.
Il riconoscimento di tale meccanismo determina in tal modo una responsabilità del socio apparente nei confronti di tutti quei terzi che, in buona fede, hanno fatto affidamento sui suoi comportamenti.
Ne deriva un’inevitabile assunzione in solido dei debiti, per coloro che si siano comportati esteriormente come soci, proprio come se la società realmente esistesse.
(Cfr., tra le altre, Cass. 11-6-75, n. 2312 – Cass. 12-9-97, nn. 4187 e 9030)
Dott.ssa Eleonora Di Lullo