La ‘testimonianza’ consiste nella narrazione dei fatti, davanti al giudice, ad opera di una persona estranea alla causa. Più nello specifico, essa riguarda i fatti che siano controversi ed allo stesso tempo rilevanti ai fini della decisione e dei quali il soggetto (teste) abbia avuto direttamente o indirettamente conoscenza.
In quanto limitata ad una mera descrizione dei fatti, essa deve essere priva di eventuali apprezzamenti o valutazioni soggettive.
Analizzando la normativa traspare la diffidenza dell’ordinamento per questo strumento giuridico e ciò è condivisibile per due distinte ragioni. In primis per l’evidente rischio di incorrere in testi interessati (è in effetti difficile che sussista una ‘totale’ indifferenza); in secondo luogo, in quanto la memoria umana può sbiadirsi col trascorrere del tempo (tanto più quando un processo si svolge durante un arco di tempo che può durare molti anni).
Ed infatti, sulla base di tali considerazioni, il legislatore ha attribuito alla testimonianza un’efficacia probatoria lasciata al libero apprezzamento del giudice, nonché previsto dei precisi limiti alla sua ammissibilità.
Passiamo quindi ad una breve analisi delle norme contenute nel Capo III del Titolo dedicato alle prove (artt. 2721-2726 cod. civ.).
– Art. 2721 c.c.: “ La prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede gli € 2,58. Tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.”
La giurisprudenza, considerando il disinteresse del legislatore verso l’adeguamento della cifra di cui al primo comma (euro 2,58), divenuta evidentemente irrisoria, ammette in generale la testimonianza interpretando la disposizione contenuta nel primo comma come un’esclusione meramente generica.
– art. 2722 c.c.: “La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea.”
– art. 2723 c.c.: “Qualora si alleghi che, dopo la formazione di un documento, è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso (2722), l’autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.”
Le due norme sopra riportate distinguono due diversi casi: a) patti anteriori o contemporanei e b) patti successivi alla formazione del contratto.
Nella prima ipotesi l’art. 2722 prevede un divieto ‘assoluto’ (fatte salve le eccezioni di cui al successivo art. 2724 c.c.) fondato sull’esigenza di impedire che dei rapporti provati documentalmente possano essere messi in discussione da una prova che non offre la medesima garanzia di veridicità.
La seconda ipotesi, al contrario, prevede tale possibilità soltanto a condizione che il giudicante abbia tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza che renda verosimile la possibilità che siano state apportate aggiunte o modificazioni verbali (si ritiene in tal senso possibile un cambiamento della volontà dei soggetti verificatosi posteriormente alla formazione del contratto).
I limiti sopra riportati vengono comunque superati qualora si incorra in una delle ipotesi previste dal successivo art. 2724 c.c., il quale prevede che il giudice deve “in ogni caso” ammettere la prova per testimoni
- quando vi è un principio di prova per iscritto (costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato (tipico esempio è quello della ricevuta o di una lettera contenente un’ammissione implicita dell’esistenza del contratto o del patto aggiunto);
- quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta (ne sono esempi l’essere legato alla controparte da vincoli affettivi oppure l’aver concluso il contratto in un momento di pericolo);
- quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova (ad esempio a seguito di un incendio).
– art. 2725 c.c.: “Quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n.3 dell’articolo precedente. La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità.”
La norma si riferisce al caso in cui un contratto deve essere provato per iscritto (c.d. forma scritta ad probationem) ovvero deve avere una forma scritta a pena di nullità (c.d. forma scritta ad substantiam). La prova scritta in tali casi è ammessa pertanto solo nel caso in cui il contraente abbia perso –senza colpa- il documento che gli forniva la prova del rapporto.
L’articolo di chiusura del Capo sulla prova testimoniale (art. 2726 c.c.) prevede infine l’estensione della disciplina anche nel caso in cui la prova debba darsi in merito a due fatti estintivi dell’obbligazione ovverosia l’effettuazione di un pagamento e la remissione di un debito.
Di tutta evidenza, sul tema, risulta essere stato l’annoso problema del rapporto tra la simulazione ed i limiti alla prova testimoniale, questione sulla quale si è registrato un contrasto giurisprudenziale poi risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione che hanno optato per la soluzione espressione del seguente principio di diritto: “la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all’art. 2722, ma un elemento essenziale con conseguente applicabilità delle indicazioni in tema di prova previste da tale disposizione” (Cass., S.U., n. 7246/2007).