Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito la piena utilizzabilità -come prove documentali- degli SMS, dei messaggi WhatsApp e delle e-mail già scaricate sullo smartphone.
La vicenda, nel caso giunto all’attenzione della Corte, riguardava la legittimità o meno di un sequestro probatorio, disposto dal P.M., nell’ambito di un procedimento penale che vedeva indagata la ricorrente per i reati fallimentari connessi ad una società. Sequestro che appunto aveva ad oggetto anche alcune mail spedite e ricevute, nonché tutti gli sms ed i messaggi WhatsApp presenti sullo smartphone.
Nel motivare l’infondatezza della tesi difensiva dell’indagata gli ermellini hanno chiarito come “Secondo l’insegnamento della Corte di legittimità non è applicabile la disciplina dettata dall’art. 234 cod. proc. pen. con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015)…. Non è configurabile neppure un’attività di intercettazione, che postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, mentre nel caso di specie ci si è limitati ad acquisire ex post il dato, conservato in memoria, che quei flussi documenta”
Per il testo integrale della sentenza clicca qui -> Cass 1822 del 16 gennaio 2018