La legge del 29 luglio 2010, n° 120, tramite l’introduzione del nuovo comma 3 ter dell’articolo 219 all’interno del “Codice della strada”, ha stabilito che la revoca della patente opera di diritto a seguito delle violazione delle norme di cui agli articoli 186, 186 bis e 187 del suddetto codice e che il conseguimento della nuova patente di guida non è possibile prima del decorso di 3 anni dalla data di accertamento del reato.
Qualche dubbio in sede di applicazione della nuova norma era emerso in alcune sentenze di giudici di merito circa l’interpretazione del dies a quo dal quale far decorrere la sanzione.
Così il Ministero dei Trasporti ha deciso di intervenire con un’interpretazione autentica della norma, tramite la circolare n° 29675 del 21 dicembre del 2015, che ha chiarito che la revoca triennale della patente di guida prevista per i conducenti sorpresi alla guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna e non dalla data di accertamento del reato.
La circolare sposa in pieno quelle che sono state anche le logiche delle ultime riforme del codice della strada ed, in particolare, quelle relative all’inasprimento delle sanzioni relative a condotte particolarmente deprecabili.
Nello specifico la circolare logicamente sostiene che i tre anni per il riottenimento della patente debbano decorrere dalla revoca, non potendo precederla.
Di conseguenza, per la revoca – essendo conseguente alla sentenza penale passata in giudicato – anche i tre anni per il riconseguimento dovranno decorrere da questa data.
Tuttavia, all’interpretazione data dal legislatore alla nuova norma, sarebbe potuto addivenire anche l’attento interprete in quanto comma 3 ter dell’articolo 219 all’interno del “Codice della strada” ha utilizzato l’espressione “dall’accertamento del reato” (quale momento di decorrenza della sanzione), il che alla luce dei principi sostanziali e processuali deve lasciar presuppore che detto termine decorra dal momento ricognitivo del reato da parte del giudice che presuppone il passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna.
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