Cass. civ., Sez. III, 25 gennaio 2016, n. 1321
Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte di cassazione riguardava l’uccisione, da parte di un ragazzo maggiorenne, infermo di mente e non interdetto, di un altro ragazzo che lavorava presso la campagna del padre, luogo in cui lo stesso infermo si era trasferito.
Partendo dal presupposto in base al quale con il raggiungimento della maggiore età cessa l’obbligo dei genitori di accudire e sorvegliare il figlio infermo di mente -persistendo la responsabilità in capo al genitore solamente nel caso in cui la convivenza con lo stesso sia frutto di una libera scelta- i giudici della nomofilachia hanno confermato che “per i danni provocati dal figlio maggiorenne, incapace di intendere e di volere, risponde il genitore che (accettandone volontariamente la convivenza) assume l’obbligo di sorveglianza”.
Con la decisione in oggetto si è pertanto esclusa ogni responsabilità in capo a quel genitore (nel caso di specie la madre) non convivente con il soggetto incapace.