Considerato dalla dottrina come “la nuova frontiera del rapporto fra cittadini e Comune”, il baratto amministrativo consiste in quello strumento messo a disposizione del legislatore al fine di consentire che alcune particolari imposte possano essere estinte tramite la realizzazione di opere e/o servizi nell’interesse della collettività.
Dal punto di vista pratico esso si manifesta con uno vero e proprio scambio tra l’impegno concreto di migliorare il territorio e lo sconto, ovvero anche l’esenzione, sul pagamento dovuto per un tributo locale.
Gli interventi che possono in tal senso realizzarsi consistono, ad esempio, nella manutenzione di strade, piazze oppure aree verdi, nel recupero e riuso di beni immobili inutilizzati o altresì in interventi di decoro urbano, realizzabili anche mediante iniziative culturali di vario genere.
L’individuazione delle riduzioni (o esenzioni) dei tributi -in relazione alla tipologia degli interventi o al tipo di attività svolta- rientrerà poi nei compiti degli stessi enti territoriali.
Il baratto amministrativo, così come descritto e regolato dal decreto Sblocca Italia, ha la medesima ratio del baratto disciplinato nel nuovo Codice degli appalti. I due istituti restano -comunque- diversi nel loro presupposto, nell’ambito di applicazione, nonché sotto il profilo dei soggetti legittimati alla richiesta. Difatti, nel D. Lgs. n. 50 del 2016, art. 190 (Codice degli appalti) il baratto amministrativo è attribuito agli enti territoriali cui viene demandato il compito di individuare le riduzioni o le esenzioni di tributi in base alla tipologia di attività svolta dal privato o dall’associazione.
Inoltre, dalla lettura del nuovo Codice, emerge altresì che suddette riduzioni devono essere “corrispondenti” al tipo di attività svolta dal privato o dall’associazione ovvero comunque “utili” alla comunità di riferimento.
Viene pertanto sostituito il concetto di “inerenza” (proprio del decreto Sblocca Italia) con quello di “corrispondenza” preferito dal D. Legislativo n. 50/2016.
Per quanto concerne i tributi “barattabili” va sottolineata la duplice utilità fiscale riscontrabile per ambedue i soggetti del rapporto. Il cittadino potrà detrarre le spese sostenute per l’esercizio dell’attività nella misura del 36% delle imposte dirette. L’ente, a sua volta, otterrà un vantaggio in sede di bilancio in quanto dovrà riportare esclusivamente la voce di spesa costituita dall’IVA da fatturare all’ente locale.
Scendendo ancor di più nel pratico e rifacendosi alle prime linee guida dettate dall’Ufficio Studi del Senato, rientrano nel novero dei tributi barattabili l’IMU, la TASI, la TARI, l’addizionale comunale all’IRPEF, il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, il canone di installazione di mezzi pubblicitari, l’imposta di scopo e quella di soggiorno, l’imposta comunale sulla pubblicità, l’addizionale comunale sui diritti di imbarco.
Al contrario, non sono barattabili le sanzioni derivanti da violazioni amministrative né tantomeno le entrate “derivate” dell’ente locale.
Sull’argomento deve peraltro segnalarsi il recentissimo intervento della Corte dei Conti la quale non ha ritenuto ammissibile la possibilità che l’adempimento di tributi locali -anche di esercizi finanziari passati- possa avvenire attraverso una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c. posta in essere dal cittadino che si attivi per la realizzazione di una delle attività previste dalla norma invece di effettuare il pagamento del tributo dovuto.