L’art. 612-bis c.p., introdotto dal legislatore nel 2009, trova la sua ratio nella necessità di contrastare il fenomeno del c.d. stalking, purtroppo sempre più frequente.
Dalla lettura della norma si desume che il delitto in oggetto si presenta come un reato necessariamente abituale, a forma libera, con evento alternativo e caratterizzato dal dolo generico.
Il dato che più di tutti ha da subito sollevato perplessità in dottrina e giurisprudenza riguarda la sua “insoddisfacente formulazione letterale”. Non a caso, il delitto de quo risulta essere intriso da una molteplicità di espressioni, vocaboli e concetti generici che hanno causato perplessità circa la sua compatibilità con il principio della determinatezza di cui all’art. 25, comma secondo, della Costituzione.
Nello specifico, maggiori criticità hanno interessato i tre eventi alternativi richiesti per la verificazione del fatto tipico ovvero:
- il perdurante e grave stato di ansia o di paura.
Sul tema dottrina e giurisprudenza si sono interrogate chiedendosi se sia indispensabile un accertamento medico-diagnostico dell’insorgenza di una patologia psichiatrica conclamata (o di un disturbo psichico rilevante causato dalle condotte del persecutore) oppure se sia sufficiente una mera verifica fattuale operata durante il processo.
- Il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva.
Relativamente a questo secondo evento ci si è anzitutto domandati se la fondatezza del timore dovesse avere una connotazione oggettiva (con la conseguente necessità dell’accertamento mediante una valutazione della effettiva serietà e gravità della minaccia tramite un giudizio predittivo di prognosi postuma, operato ex ante ed in concreto) ovvero soggettiva (dipendente quindi dalla semplice impressionabilità del soggetto passivo e della sua percezione della realtà). Così come sono sorti ulteriori dubbi in ordine al concetto di ‘timore’, non verificabile scientificamente attraverso una perizia medico-psichiatrica in quanto estremamente variabile. Eccessivamente generico è stato infine considerato il riferimento alla “persona legata da relazione affettiva”, concetto estensibile al punto tale da ricomprendere nella fattispecie una serie indeterminata di rapporti umani.
- L’alterazione delle proprie abitudini di vita.
Non risulta chiaro, sul punto, se la norma si riferisca ad un cambiamento radicale della abitudini della vittima oppure anche a delle semplici rimodulazioni delle stesse. Così come interrogativi si sono posti sulla stessa nozione di “abitudine di vita” domandandosi se tale sia un comportamento costante (ad esempio una passeggiata) o se sia necessario riferirsi a consuetudini maggiormente rilevanti (come ad esempio la residenza in un Comune, il numero di telefono o l’abitazione in un dato luogo).
Proprio in considerazione delle suddette perplessità si è reso necessario l’intervento della Corte Costituzionale che, in ogni caso –con la sentenza interpretativa di rigetto dell’11 giugno 2014, n. 172– ha ritenuto la questione infondata dando risposta però solo ad alcuni dei dubbi legati all’applicazione del principio di determinatezza.
Relativamente al generico riferimento operato dal legislatore in merito alle condotte penalmente rilevanti la Consulta ha ritenuto ben possibile pervenire alla loro individuazione mediante “una interpretazione integrata, sistemica e teleologica della fattispecie” . A ciò la Corte aggiunge il necessario riferimento da operare con riguardo alle preesistenti fattispecie di molestia e minaccia, cui occorrerà rifarsi nell’applicazione del delitto di atti persecutori.
Sulla reiterazione delle condotte si è inoltre aggiunto che la stessa possa riferirsi anche alla commissione di due soli episodi (di minaccia e/o molestia) in un lasso di tempo circoscritto. Bisognerà pertanto compiere un altro sforzo interpretativo mettendo in relazione il termine ‘reiterazione’ con il resto della fattispecie. Sul punto è intervenuta anche la Cassazione precisando che il giudice dovrà verificare la sussistenza del nesso causale richiesto dalla norma tra le condotte reiterate ed uno degli eventi e “se non riesce a provare ciò, evidentemente, quelle condotte reiterate, qualunque sia il loro numero e la loro cadenza nel tempo, non saranno riconducibili nel delitto di atti persecutori perché non risultano produttive di alcuno dei tre eventi tipizzati” (Cfr. Cass. pen., sez. V, nn. 46331/2013 e 6417/2010).
Quanto al ‘perdurante e grave stato di ansia e paura’ ed al ‘fondato timore per l’incolumità’ i giudici della Consulta non hanno rinvenuto alcun contrasto con il principio di determinatezza essendo possibile fare riferimento, per la loro individuazione, ai dati esperienzali. Anche in riferimento a tali concetti si segnalano diversi interventi della Suprema Corte di Cassazione volti ad una loro definizione. Ci si riferisce alle pronunce nn. 18999/2014 e 16864/2011 con le quali si è precisato che “il perdurante e grave stato di ansia o di paura non integra una condizione di vera e propria patologia, che può assumere rilevanza solo nell’ipotesi di contestazione del concorso formale con l’ulteriore delitto di lesioni(…). Tale elemento costituisce oggetto di di accertamento da parte del giudice del merito, che non deve pertanto ricorrere ad una perizia medica sulla vittima, ma può argomentarne la sussistenza anche sulla base di massime di esperienza”. Infine, in riferimento alla ‘alterazione delle abitudini di vita’ la Corte ritiene possa farsi riferimento “al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo” verificabili in sede processuale senza alcun problema.
Conclusa molto sinteticamente la disamina del reato in oggetto, la Corte Costituzionale ha preferito astenersi dal dare valutazioni maggiormente dettagliate sul reato di atti persecutori così come previsto dal legislatore, lasciando comunque irrisolti alcuni dei dubbi sorti circa la sua compatibilità con il principio della determinatezza.
Non è stato difatti affrontato dalla Consulta il tema dei legami affettivi (si pensi alla rilevanza attuale in riferimento al fenomeno sociale delle coppie di fatto, dei rapporti di amicizia ovvero del rapporto tra colleghi di lavoro). È innegabile che al riguardo una mancata pronuncia porterà i giudici del merito a valutare ‘caso per caso’ le singole fattispecie con tutto quello che una tale scelta comporta sul piano della (in)certezza del diritto e dell’(in)uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.