



Sulla scia del principio “dell’effetto utile” –art. 4, § 3, T.F.U.E.– il diritto comunitario aderisce ad una nozione flessibile di ente pubblico. Secondo tale principio generale, la miglior soluzione del caso concreto deve essere quella più corrispondente al fine cui la norma comunitaria vuole mirare. Pertanto, l’ente pubblico assumerà la nozione maggiormente idonea e funzionale allo scopo che l’Unione vuole perseguire, ampliandosi o restringendosi all’occorrenza.
Per meglio comprendere il fenomeno analizzeremo di seguito alcune materie che lo vedono coinvolto.
– La nozione ristretta in materia di rapporti di lavoro
L’art. 45 TFUE prevede la regola generale della libertà di svolgimento dell’attività lavorativa in ogni Stato della Comunità, senza discriminazioni relative alla nazionalità. Il paragrafo 4 del medesimo articolo, a sua volta, stabilisce un deroga, prevedendo la possibilità di limitare la libertà di accesso di un cittadino comunitario nel caso in cui si tratti di un rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Ciò vuol dire che dalla qualifica ‘pubblica’ del datore di lavoro deriva la possibilità, per quest’ultimo, di riservare l’accesso all’attività lavorativa ai soli cittadini appartenenti allo Stato membro di cui esso stesso è parte (Cfr. Corte di giustizia, 30 maggio 1989, C-33/88).
Va comunque precisato che, ai sensi dell’art. 38 T.U. n. 165/2001, la limitazione può essere disposta dalle P.A. solo per rapporti di lavoro caratterizzati dall’esercizio del potere pubblicistico.
– La nozione ampia in materia di contratti pubblici
In tale seconda ipotesi, molto diversa, prevale l’esigenza del diritto comunitario di obbligare l’ente pubblico a seguire procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente, in modo tale da consentire la libera concorrenza senza alcuna discriminazione.
La scelta della definizione ampia di ente pubblico in tale contesto consente, in tal senso, ad ogni impresa (anche non nazionale) di partecipare alla gara. Tale meccanismo, si noti, fa sì che vengano ricomprese tra le pubbliche amministrazioni anche quei soggetti, con veste privata, sottoposti ad un’influenza pubblica.
– La nozione in materia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario
Era evidente, nel contesto delle norme, che il fine ultimo perseguito dal Legislatore comunitario fosse quello di poter imputare tale responsabilità a tutti i soggetti che detengono a vario titolo il potere pubblico in senso lato. Necessaria a tal fine era la nozione ampia di ente pubblico.
Sulla scia delle scelte comunitarie anche il Legislatore nazionale si sta via via aprendo ad una nozione flessibile di ente pubblico adattabile a casi specifici. Ne sono esempio i casi in materia di appalti e di accesso.
- Il D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) estende le regole dell’evidenza pubblica anche ad altri sogetti (quali le spa miste, gli organismi di diritto pubblico e privati sovvenzionati da enti pubblici) all’unico fine di assoggettare ai medesimi anche la disciplina degli appalti con il conseguente trasferimento dell’eventuale contenzioso al giudice amministrativo –ex art. 103 Cost.- .
- Il combinato disposto di cui agli artt. 22 e 23 della Legge n. 241/1990 assoggetta alla disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi anche i privati gestori di pubblici servizi, consentendo, anche in tal caso, la devoluzione del contenzioso esclusivamente in capo al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 c.p.a.
È evidente, in conclusione, che anche la legge nazionale cominci a rinunciare ad una soluzione statica e definitoria di enti pubblici, preferendo adattarsi alla più elastica soluzione proposta dalla disciplina comunitaria, sempre più indirizzata al riconoscimento della c.d. “logica delle geometrie variabili” in base alla quale un ente può essere considerato pubblico solo settorialmente.

