Su richiesta di un nostro lettore affronteremo in tale sede quanto chiarito dalla giurisprudenza in tema di indennità di accompagnamento e, più nel dettaglio, del diritto, in capo agli eredi, di ottenere -in sede successoria- un pari trattamento, indipendentemente dal fatto o meno di aver provveduto all’assistenza del soggetto invalido prima della sua morte.
Sul punto intervenne, già nel 1989, la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 61 del 23 febbraio, con la quale fu affermato che in base all’art. 12, ultimo comma, Legge n. 118 del 30 marzo 1991 “gli eredi dell’invalido hanno diritto alle quote della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento maturate dalla domanda amministrativa alla morte dell’invalido avvenuta in epoca anteriore all’accertamento dell’inabilità da parte della competente commissione provinciale”.
Con le successive pronunce della Suprema Corte di Cassazione, inoltre, è stato affermato che, in riferimento agli eredi, quanto si realizza è una tipica situazione successoria e non una situazione di assistenza sociale obbligatoria (si confrontino in merito le Cass. nn. 4672 del 29 marzo 2001 e 10715 del 27 ottobre 1998).
Pertanto, in conformità con le suddette pronunce e mantenendo saldo lo stesso orientamento, la Terza Sezione della Cassazione civile ha inteso ribadire i suesposti concetti confermando che “il diritto alle prestazioni assistenziali dovute agli invalidi civili nasce sulla base della domanda amministrativa e della sussistenza dei presupposti normativamente previsti e, facendo parte del patrimonio del titolare, a prescindere dal suo accertamento in sede amministrativa e o giudiziale, si trasmette per successione ereditaria anche in caso di morte dell’avente diritto antecedente all’accertamento dei presupposti; pertanto, sia nell’ipotesi appena ricordata, sia qualora le prestazioni in parola vengano comunque liquidate non al diretto interessato ma ai suoi eredi, viene in rilievo non una situazione di assistenza sociale obbligatoria bensì una tipica situazione successoria” (Cass. n. 1323 del 26 gennaio 2016) .
Così argomentando, il massimo organo della nomofilachia ha riconosciuto ancora una volta la sussistenza del diritto -alla quota dell’indennità di accompagnamento- in capo a ciascun erede “senza che possa ravvisarsi alcun arricchimento senza causa in relazione agli eredi che non abbiano provveduto all’assistenza della predetta”.
Dott.ssa Eleonora Di Lullo